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Il “Maniero” di Beldiletto

Il castello, costruito alla fine del Trecento da Giovanni Da Varano detto Spaccaferro, viene trasformato in una sontuosa villa rinascimentale (una poderosa costruzione in arenaria), nella seconda metà del secolo successivo, da Giulio Cesare. La sua struttura, originariamente circondata da un largo e profondo fossato alimentato dalle acque del Chienti, è quadrangolare, con torri in tutti gli angoli. Al suo interno si apre una corte con un loggiato, con pilastri ottagonali e con archi a sesto acuto in pietra bianca e rossa.

Sia alcuni ambienti del piano terra, sia le principali sale del piano superiore erano dipinte.

Nelle stanze pianterreno, poste accanto ad una grande scuderia voltata con archi a sesto ribassato prevalgono delle raffigurazioni di vita rurale (pastori con armenti, donne che raccolgono pomi), da collegare all’originaria funzione dell’edificio come residenza estiva e come centro di attività agricole.

Nella sala più grande del castello sono visibili, invece, i resti di un vasto ciclo di dipinti raffigurante dei cavalieri, che in origine occupava le quattro pareti del salone e che rimanda alla cultura dei poemi cavallereschi.

La decorazione risale sicuramente al XV secolo. Così viene descritto il ciclo da Paolo Cruciani: «Si tratta di una parata di cavalieri armati, coronati e con lo scettro in mano che montano destrieri dai lussuosi finimenti. La cavalcata correva in due ordini sovrapposti, per un totale di 60 personaggi, ossia 11 su ogni ordine nei lati lunghi e 4 su ogni ordine nei lati corti.

Sempre nel piano nobile, in una stanza adiacente, si trova la rappresentazione di un albero di pere di dimensioni monumentali, con ampie fronde cariche di frutti maturi. All’iniziale ipotesi di attribuzione di questa decorazione ad una possibile infatuazione di Giulio Cesare da Varano per una certa Madonna Perozzi (nel cui stemma familiare erano presenti delle pere), prevale ora l’idea che si tratti di una raffigurazione simbolica dell’albero della vita. Nella parete accanto è presente una seconda decorazione consistente in grandi cerchi o “medaglioni” formati dall’unione di rami intrecciati. La decorazione è completata da piccole pere, che pendono dai cerchi, i quali contengono il monogramma di Giulio Cesare e la rosa malatestiana di Giovanna Malatesta.

Nelle stanze vicine, i restauri eseguiti nel 2002 hanno consentito di scoprire nuove pitture: una serie di stemmi araldici e un altro ciclo di cavalieri, disposti su un solo ordine, raffigurante esponenti della nobile famiglia milanese dei Visconti. Si riconoscono Ottone (1207-1295), Galeazzo e forse Galeazzo I (1277-1334). Il lento degrado del castello inizia già nel corso del XVI secolo dopo l’annessione del ducato di Camerino allo Stato della Chiesa, quando l’intero complesso si trasforma in una semplice tenuta agricola.

Il ponte (Pons de trabe Bonantis), che risale al XIV secolo, sorge su fondamenta romane del I secolo d.C.

Esso testimonia la funzione di crocevia commerciale svolta da Pievebovigliana e dal territorio di Fiordimonte dal medioevo fino all’intera età moderna. A Pontelatrave, infatti, confluivano tutti i tracciati che attraverso la dorsale appenninica giungevano dall’Italia meridionale attraverso Norcia e Visso, per proseguire in direzione di Camerino e delle regioni settentrionali.

Nel Settecento, sempre da Pontelatrave e Campi iniziava la carrozzabile, cioè una delle poche strade calessabili del territorio, progettata dal nobile romano monsignore Angelo Altieri per collegare Norcia alla Via Lauretana, attraverso la valle di Tazza e i centri di Fematre e Preci. A causa degli elevati costi di manutenzione la strada viene dismessa pochi anni dopo la sua inaugurazione.